2 Articoli 2019
testo di Štellmach Peter
La teologia morale e la teologia spirituale, dopo il Concilio di Trento, si sono allontanate l’una dall'altra per quattro lunghi secoli, e ancora oggi cercano il loro giusto rapporto[1]. La nascita dei seminari per la preparazione dei futuri sacerdoti nel XVI sec. ha portato la teologia alla specializzazione dei saperi che però è finita in una sempre maggiore frammentazione: la teologia dogmatica si occupava del fondamento; la teologia morale delle leggi e la teologia spirituale dell’intimo rapporto con Dio. Così sono nati i primi "manuali" di teologia morale, pensati per i confessori, in cui c’erano tantissimi casi concreti e utili, ma senza fondamento rischiavano di essere ipotetici o addirittura assurdi, e senza attenzione alla persona rischiavano di giudicare soltanto il singolo atto fuori da ogni contesto e dal fine ultimo. Ciò che il sapere divide, la santità unisce. Accanto alle Institutiones morales di J. Azor (1536-1603) sorge un’altra proposta morale ma nello stesso tempo spirituale di san Francesco di Sales[2] (1567-1622) a cui si ispira successivamente sant’Alfonso Maria de Liguori[3] (1696-1787). Proprio in questa linea si colloca un altro santo che nel Convitto ecclesiastico di Torino all'inizio dell’Ottocento studia la teologia morale benigna di sant'Alfonso e che fonderà poi la Congregazione dei Salesiani: don Bosco.
Noi scegliamo solo uno
dei suoi numerosissimi scritti[4]
che, a nostro avviso, meglio rappresenta il legame tra vita spirituale e vita
morale, in cui «intende
offrire ai giovani “un metodo di vita cristiano, che sia nel tempo stesso
allegro e contento”, una proposta di vita spirituale e di santità giovanile»[5]. Don Bosco non vi rivela le intimità della sua
anima, non fa un discorso organico e completo, ma semplicemente indica una strada
facile, attraente e accessibile a tutti per diventare, come ripeteva spesso, buoni cristiani ed onesti cittadini.
Il libro più amato e curato da don Bosco
Il Giovane provveduto è stato pubblicato per la prima volta nel 1847,
un solo anno dopo il trasferimento del primo oratorio di don Bosco in quella
periferia torinese chiamata Valdocco. Vi troviamo «in
sintesi, tutti i contenuti caratterizzanti del modello formativo oratoriano, un
sistema che venne praticato, sostanzialmente immutato nei decenni successivi
con successo»[6]. Di questo successo parla anche il numero delle
ristampe. Nell'anno 1888, quando don Bosco morì, viene stampata la 119a
edizione e con pochissimi ritocchi si ristampava fino al 1961[7].Il suo contenuto va oltre
una semplice raccolta di preghiere e di pratiche devote che si trovano anche
nel lungo titolo dell’operetta. Non nasce a tavolino ma riassume l’esperienza
pastorale in mezzo ai ragazzi a cui, trasmettere la fede, è uno dei compiti più
ardui in ogni tempo. Certamente, don Bosco riprende i mezzi spirituali per la
crescita morale dal patrimonio comune della Chiesa (tra cui segnaliamo: Ignazio
di Loyola, Filippo Neri, Francesco di Sales, Vincenzo de’ Paoli, Alfonso M. de
Liguori, Giuseppe Cafasso)[8],
ma la sua originale proposta degli «orizzonti di spiritualità giovanile»[9] rimane inconfondibile.
Il testo è diviso in tre parti. La prima parte contiene le «cose necessarie ad un giovane per diventar virtuoso», con le riflessioni su Dio e sulla sua predilezione per i giovani, sulle verità eterne, con l’esempio concreto di san Luigi Gonzaga. La seconda parte ci fa entrare negli «esercizi particolari di cristiana pietà» tipici dell’Ottocento piemontese, ma con i criteri educativi di don Bosco. Vi troviamo preghiere del mattino e della sera; suggerimenti per assistere con frutto alla santa messa e accostarsi ai sacramenti; preghiere per la visita al Santissimo e per la comunione spirituale; coroncine al sacro Cuore di Gesù e a Maria Addolorata; preghiere per l’esercizio della buona morte, e infine un’istruzione sulla scelta dello stato. La terza parte contiene l’ufficio della Madonna e i formulari per la celebrazione dei vespri in tutto l’anno[10].
Il testo è diviso in tre parti. La prima parte contiene le «cose necessarie ad un giovane per diventar virtuoso», con le riflessioni su Dio e sulla sua predilezione per i giovani, sulle verità eterne, con l’esempio concreto di san Luigi Gonzaga. La seconda parte ci fa entrare negli «esercizi particolari di cristiana pietà» tipici dell’Ottocento piemontese, ma con i criteri educativi di don Bosco. Vi troviamo preghiere del mattino e della sera; suggerimenti per assistere con frutto alla santa messa e accostarsi ai sacramenti; preghiere per la visita al Santissimo e per la comunione spirituale; coroncine al sacro Cuore di Gesù e a Maria Addolorata; preghiere per l’esercizio della buona morte, e infine un’istruzione sulla scelta dello stato. La terza parte contiene l’ufficio della Madonna e i formulari per la celebrazione dei vespri in tutto l’anno[10].
«Noi siamo tutti creati per il paradiso»
Tutta la proposta di vita
spirituale e morale nel Giovane
provveduto parte da una certezza: di essere amati. Don Bosco nel proemio si
rivolge «Alla gioventù» con
queste parole paterne:
Miei cari, io vi amo tutti di cuore, e basta che siate giovani perché io vi ami assai e vi posso accertare che troverete libri propostivi da persone di gran lunga più virtuose e più dotte di me, ma difficilmente potrete trovare chi più di me vi ami in Gesù Cristo e che più desideri la vostra vera felicità. […] Vivete felici e il Signor sia con voi. Affezionatissimo in Gesù Cristo Sac. Bosco Giovanni[11].
Il progetto di questo
libro spirituale «breve e facile» è aiutare i giovani a diventare «la consolazione dei parenti, l’onore della patria,
buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitatori del cielo»[12]. Ma sarebbe troppo poco se fosse soltanto
progetto di un educatore, per quanto bravo egli sia. Ecco perché subito dopo il
proemio seguono due brevi paragrafi, in cui il lettore può entrare nel cuore di
Dio il quale «porta una particolare affezione per i giovani».
Badate però, o miei figliuoli, che voi siete tutti creati per il paradiso e Dio prova grande dispiacere quando è costretto mandare qualcheduno all’inferno. Oh! quanto mai il Signore vi ama e desidera che voi facciate buone opere per rendervi poi partecipi della sua gloria in paradiso[13].
Solo quando è chiara la
meta, si può parlare dei mezzi per poter raggiungerla e quanto più essa è
grande tanto più vale la pena di impegnarsi per raggiungerla. Uno solo era il
desiderio del santo educatore: di vedere i suoi giovani «felici nel
tempo e nell'eternità»[14].
La felicità gustata già nell'oratorio
era il pegno della felicità non ancora
piena, capace di indirizzare le
azioni verso Dio, di riunire la vita
vissuta nei frammenti quotidiani e di unificarsi
nella comunione agli altri. La vita con Dio non è dunque malinconica e noiosa.
Non bisogna neanche spremere la vita al massimo ed aspettare fino alla
vecchiaia per convertirsi. La decisione va fatta al più presto, quando si è
giovani, perché «quella strada che un figlio tiene in gioventù, si continua
nella vecchiaia fino alla morte»[15].
«Voglio insegnarvi un metodo di vita cristiano»
Don Bosco, dando ai
giovani tra le mani un libretto spirituale pieno di preghiere a loro adatte, lo
fa soprattutto per offrirgli un metodo per poter vivere la vita felice da
cristiani. «Tale appunto è
lo scopo di questo libretto», dice il
Santo, «servire al Signore e stare
sempre allegri»[16].
«Servire al Signore…»
Sono sicuramente molte le
devozioni proposte ai giovani dell’Oratorio, ma a don Bosco non interessano
tanto le preghiere stesse quanto lo spirito di preghiera e «non indulge all'esuberanza devozionale tipica del cattolicesimo
ottocentesco per il timore di infastidire o di stancare»[17]. A questo punto si potrebbero analizzare varie
pratiche religiose offerte in prospettiva pedagogica nel Giovane provveduto, ma per la brevità dello spazio di questo nostro
lavoro ci limitiamo ad una sola, che è la porta d’ingresso: l’obbedienza ai genitori.
L’Autore la colloca subito dopo il paragrafo sulla predilezione dei giovani dal Signore e prima di trattare i mezzi spirituali come la lettura, la devozione mariana, la confessione, la comunione etc. Della sua importanza parla già il titolo dove la suddetta pratica viene chiamata la prima virtù di un giovane.
Oltre la preghiera quotidiana per i propri genitori, don Bosco sotto la virtù d’obbedienza intende ancora due cose. La prima è la sincerità che dice con franchezza la verità e fugge da ogni tipo di menzogna. La seconda è l’adempimento esatto dei consigli e degli avvertimenti dei genitori/superiori. Ecco l’introduzione a tutta la vita devota, perché solo nell'obbedienza pronta, rispettosa e allegra si impara a servire il Signore. E don Bosco conclude con queste parole forti: «Datemi un figliuolo ubbidiente e sarà santo»[20].
L’Autore la colloca subito dopo il paragrafo sulla predilezione dei giovani dal Signore e prima di trattare i mezzi spirituali come la lettura, la devozione mariana, la confessione, la comunione etc. Della sua importanza parla già il titolo dove la suddetta pratica viene chiamata la prima virtù di un giovane.
Siccome una tenera pianta sebbene posta in buon terreno dentro un giardino, tuttavia prende cattiva piega e finisce male, se non è coltivata e per dir così guidata fino a certa grossezza, così voi, miei cari figliuoli, piegherete sicuramente al male se non vi lasciate piegare da chi ha cura d’indirizzarvi. Questa guida voi avete nella persona dei vostri genitori, cui dovete esattamente ubbidire. Onora il tuo padre e la tua madre e avrai lunga vita sopra la terra, dice il Signore[18].Nella figura dei genitori don Bosco intende tutti i maestri e superiori, ecclesiastici o secolari, perché Dio stesso «per loro mezzo comanda questa o quell'altra cosa», anzi «il nostro Salvatore quantunque onnipotente per insegnarci ad ubbidire fu in tutto sottomesso alla beata Vergine ed a san Giuseppe», e obbediente al suo Padre «morì spasimando in croce»[19].
Oltre la preghiera quotidiana per i propri genitori, don Bosco sotto la virtù d’obbedienza intende ancora due cose. La prima è la sincerità che dice con franchezza la verità e fugge da ogni tipo di menzogna. La seconda è l’adempimento esatto dei consigli e degli avvertimenti dei genitori/superiori. Ecco l’introduzione a tutta la vita devota, perché solo nell'obbedienza pronta, rispettosa e allegra si impara a servire il Signore. E don Bosco conclude con queste parole forti: «Datemi un figliuolo ubbidiente e sarà santo»[20].
«…e stare sempre allegri»
San Domenico Savio
(1842-1857), il quale ha vissuto pienamente il programma morale-spirituale del Giovane provveduto, diceva ai nuovi
compagni appena arrivati nell'Oratorio di Valdocco: «Noi qui
facciamo consistere la santità nello stare molto allegri»[21]. Qui,
nell’ambiente che educa, la santità, che non è lontana né per dei
pochi eletti, viene vissuta in modo molto attraente. L’allegria, però, non si confonde con il divertimento vuoto, ma è uno
stato d’animo costante di chi fugge dall'ozio, occupa fruttuosamente il tempo e
fa i suoi doveri.
L’ozio è il laccio principale che il demonio tende alla gioventù, sorgente funesta di tutti i vizi. Persuadetevi dunque, o miei cari, che l’uomo è nato per il lavoro e quando desiste da esso egli è fuori del suo centro e corre grande rischio di offendere il Signore. Non c’è cosa che tormenti maggiormente i dannati nell'inferno, che l’aver passato in ozio quel tempo, che Dio aveva loro dato per salvarsi. Al contrario non c’è cosa che più consoli i beati in paradiso, quanto il pensare che un po’ di tempo impiegato per Dio loro procacciò un bene eterno[22].
Se possiamo parlare di
una prospettiva morale all'interno di questo scritto spirituale, essa si trova
maggiormente presente nell'uso giusto o sbagliato del tempo. «Non intendo, però», spiega il Santo «che vi
occupiate da mattina a sera senza verun sollievo» delle cose spirituali, perché «ci sono molte cose le quali […] possono recare diletto anche con grande vostra
utilità»[23],
innanzitutto lo studio e il gioco. Dietro queste parole possiamo leggere la
scritta sulla meridiana del seminario a Chieri, la quale il giovane chierico
Bosco vedeva tutti i giorni: Afflictis
lentae, celeres gaudentibus horae.
Conclusione
Grazie al Giovane provveduto don Bosco e i suoi
salesiani hanno accompagnato generazioni intere di giovani verso la vetta della
santità. Ciò che all'epoca era nettamente distinto o addirittura separato al
livello speculativo, teneva unito l’esperienza pastorale in mezzo ai ragazzi poveri
ed abbandonati della periferia di Torino. Anche i lettori, a distanza di quasi
due secoli senza forzatura d’interpretazione, possono notare la grande unità di
vita spirituale e vita morale in questo semplice libretto. Nel nostro lavoro
abbiamo notato che per don Bosco tutto parte dalla vocatio di essere amati, che nell'ambiente educativo naturalmente
porta all'obligatio di rispondere con
l’obbedienza pronta e con il buon uso del tempo che riempie il cuore d’allegria
profonda[24].
È interessante notare ancora
che dall'edizione del 1880 l’Autore inserisce in fondo alla seconda parte del Giovane provveduto un’istruzione sulla «scelta
dello stato». Egli la chiama la scelta «capitalissima», perché «importa adunque
moltissimo, o giovane, accertar questo passo per non impegnati in obbligazioni,
a cui il Signore non ti elesse»[25].
Aiutare i giovani a scoprire la loro vocazione specifica è il compito più alto
e più bello di ogni educatore, perché chi scopre la propria vocazione, scopre
la cifra sintetica della vita spirituale
e morale.
Vogliamo concludere con una preghiera di don Bosco,
inserita alla fine di questa seconda parte, la quale, ancora una volta,
evidenzia l’importanza di tale scelta, che segnerà tutte le altre scelte nella
vita:
Eccomi ai vostri piedi, o Vergine pietosa, per impetrare da voi la grazia importantissima della scelta del mio stato. Io non cerco altro che di fare perfettamente la volontà del vostro divin figlio in tutto il tempo della mia vita. Desidero ardentemente di scegliere quello stato che vie più mi renderà consolato quando mi troverò in punto della morte. […] Se voi non m’istruite, o madre dell’increata sapienza, chi mi ammaestrerà? Udite dunque, o Maria, le mie umili preghiere. Indirizzatemi dubbioso e vacillante, reggetemi nella retta via, che conduce all’eterna vita, giacché voi siete unica speranza di virtù e di vita, i cui frutti non sono altro che frutti di onore e di onestà[26].
[1] Cf. A. Fumagalli (ed.),
Teologia morale e teologia spirituale.
Intersezioni e parallelismi, LAS, Roma 2014.
[2] Cf. Francesco di Sales, Filotea.
Introduzione alla vita devota, Edizioni Paoline, Roma 1984.
[3] Cf. Alfonso M. de Liguori, Pratica
di amar Gesù Cristo, in Opere
ascetiche, I, Redentoristi, Roma 1933.
[4] Cf. Giovanni Bosco, Opere
edite, 38 voll., LAS, Roma
1976-1987.
[5] A.
Giraudo, «Prospettive spirituali nel “Giovane provveduto”», in Giovanni Bosco, Insegnamenti di vita spirituale, LAS, Roma 2013, 19.
[6] Ibid.
[7] [G. Bosco], Il giovane
provveduto per la pratica de’ suoi doveri, degli esercizi di cristiana pietà
per la recita dell’ufficio della beata Vergine e dei principali vespri
dell’anno coll’aggiunta di una scelta di laudi sacre ecc., Tipografia
Paravia e Comp., Torino 1847 in Id.,
Opere edite, II (1846-1847), LAS,
Roma 1976, 183-532 (da ora in poi viene citato come Il giovane provveduto); G. Bosco, Il giovane provveduto per la pratica de’
suoi doveri e degli esercizi di cristiana pietà… 119a ed.,
Tipografia e Libreria Salesiana, Torino 1888; Id.,
Il giovane provveduto per la pratica dei
suoi doveri e degli esercizi di cristiana pietà. Novissima edizione riveduta
sul testo originale adattata nella parte devozionale agli usi presenti,
Società Editrice Internazionale, Torino 1961.
[8] Cf. Istituto Storico Salesiano, Fonti salesiane I. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, 605;
si veda anche G. Buccellato, Alle radici della spiritualità di san
Giovanni Bosco, LEV, Roma 2013.
[9] P. Stella, Valori spirituali nel «Giovane provveduto» di san Giovanni
Bosco, Scuola
Grafica Borgo Ragazzi Don Bosco, Roma 1960, 80-126.
[11] Giovanni
Bosco, Il giovane provveduto,
187-188.
[12] Ibid.,
187.
[13] Ibid.,
190.
[16] Ibid.,
186.
[17] M. Marcocchi,
«Alle radici della spiritualità di don Bosco», in M. Midali (ed.), Don Bosco nella storia, LAS, Roma 1990,
165.
[19] Ibid.,
194.
[20] Ibid.,
196.
[21] Giovanni
Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico allievo
dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, Tip. G.B. Paravia e Comp., Torino
1859, 86.
[24] Cf. OT, n. 16.
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